Faust'O/Fausto Rossi, Disco/Biografia scritta da Arnaldo Pontis

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pallidestragi
view post Posted on 13/6/2010, 17:24




quello che segue è un documento rimasto inedito scritto da Arnaldo Pontis che doveva far parte di un libro dedicato alla musica elettronica italiana; l'inserimento di tale nota nella sezione dedicata a becoming visible è relativo alla catalogazione temporale dello scritto.


Faust'O/Fausto Rossi
Disco/Biografia scritta da Arnaldo Pontis

Faust'O/Fausto Rossi è oggi spesso riconosciuto come uno dei precursori in Italia di un nuovo genere musicale,
quella particolare "wave", nata negli anni ottanta ai confini della pop music d'oltremanica che per almeno una
decade influenzerà gran parte della musica pop nostrana. Ma Fausto Rossi rappresenta, per me e per tutti
quelli che lo conoscono e lo hanno seguito artisticamente in tutto il suo lungo percorso molto di più di questo.
Questa sorta di "biografia" è quindi solo un pretesto che il sottoscritto utilizzerà per cercare di descrivere
l'importanza e la rilevanza della figura artistica di Fausto Rossi nella scena musicale italiana. Importanza di cui il
Faust'O ai più conosciuto rappresenta sicuramente solo una parte.

FAUSTO ADOLESCENTE
Fausto Rossi nasce a Sacile, in provincia di Pordenone, quasi per caso. La sua famiglia si trasferisce infatti a
Milano dopo pochi giorni. Lui da allora vive e lavora nella città più "metropolitana" d'Italia. Una Milano, in quegli
anni, con il ritmo urbano proprio di una metropoli europea e con tutte le sue contraddizioni, luogo in parte
alienante per il sentire artistico libero e profondo di Fausto, la cui constatazione di ineluttabilità del futuro,
insieme anche alla sua lucida negazione, lo influenzeranno intimamente fin dai suoi primi lavori.
All'età di cinque anni il piccolo Fausto inizia gli studi di pianoforte. Non sappiamo quanto gli fosse imposto in
questi studi, anche se probabilmente il suo piccolo baronetto, quell'Harry chiamato a "suonare ancora un poco il
piano" nel testo del brano "Piccolo Lord" sul suo primo disco "Suicidio", rappresenta qualcosa che di quel
bambino rimane nel tempo. Ma la sua sensibilità artistica e musicale lo porta ben presto, dai nove e fino ai primi
anni della sua adolescenza, a scoprire una serie di fenomeni musicali stranieri che arrivano anche in Italia.
L'ascolto e la frequentazione di un sentire musicale nuovo e diverso, giovanile e anche di "protesta" nei confronti
di qualsiasi accademia, lo porteranno nel tempo ad abbandonare gli studi musicali classici.
Il primo incontro giovanile è sicuramente legato alla musica inglese di gruppi come Beatles, Animals, Kinks,
Yardbirds ecc. La "forma" canzone di molti tra i suoi migliori lavori, dagli esordi e fino ad oggi, risentirà
profondamente di questa matrice sonora e lisergica derivante dal migliore immaginario "beatlesiano" originario.
Ma il giovane Fausto crescerà in proprio e molto rapidamente affiancando nei suoi lavori a questa struttura
originaria, la sua voce molto particolare che diventerà ben presto il marchio immediatamente riconoscibile nelle
sue songs. Fin dagli inizi, se vogliamo anche abbastanza acerbi di "Suicidio" (il suo primo lavoro ufficiale) il suo
cantare, intriso di una venatura malinconica che si potrebbe quasi definire "punk-blues" viene elevato poi in
modo inconfondibile dalla sua scrittura, decisa, nuova e fortemente autoriale, di testi per canzoni in lingua
italiana che sconfinano nella forma poetica.

IL PRIMO PERIODO ARTISTICO
Ma, ritornando alla "biografia" che per me rappresenta solo un pretesto per parlare del sentire artistico di Fausto
Rossi, l'orizzonte musicale del nostro artista, si allarga rapidamente verso tutta l'Europa e gli Stati Uniti.
Quasi a 360° direi, dai Beach Boys a Hendrix ... Risentendo anche di influenze ritmiche legate al primo punk
americano del finire degli anni sessanta. Citiamo solo i Velvet Underground, gli MC5, o gli Stooges. Il sentire di
Fausto si forma dunque certamente, grazie ad "antenne" che puntano verso altri lidi diversi dalla canzone
italiana dei suoi anni. Questa distanza dalla musica italiana risulterà evidente nel suo album d'esordio intitolato
appunto "Suicidio", della primavera del 1978.
Fausto Rossi inizia allora una carriera discografica con il suo noto nome d'arte, Faust'O.
E anche in questo probabilmente si rileva l'impronta di un forte immaginario letterario nel nostro Fausto (con
l'evidente riferimento all'Histoire d'O di Dominique Aury /Pauline Réage) e forse anche cinematografico dato che
l'omonimo film con Corinne Clery è del 1975.
Faust'O è un nome che però Fausto non gradirà particolarmente, anche se in ogni modo "porterà" sui suoi dischi
fino alla fine degli anni ottanta.

UNA PRIMA QUADRILOGIA IDEALE
La ricerca musicale e artistica di Fausto Rossi, dagli esordi e durante tutto il suo primo periodo che arriverà fino
al 1985, affonda le sue radici da un lato nella migliore canzone d'autore italiana e dall'altro nella musica di
ricerca e sperimentazione (il rock certamente ma anche l'elettronica) di molti altri artisti europei e americani di
una certa "new-wave" che influenzano in parte anche la nostra Italia e sicuramente la Milano "ancora non
totalmente da bere" dove il ns. giovane Fausto Rossi vive in quegli anni a cavallo tra la fine dei settanta e i primi
ottanta.
Dopo il primo LP, "Suicidio" del 1978 (esordio per la CGD), segue rapidamente "Poco Zucchero", nel 1979.
"Poco Zucchero" è sicuramente un disco fortemente "wave oriented", nel miglior modo si voglia intenderne il
senso. Un lavoro che risente positivamente dei primi suoni e dei ritmi elettronici della new-wave inglese.
Nel 1980 a seguire viene pubblicato "J'accuse... amore mio". A cui seguiranno nei successivi 5 anni altri 3 lavori
"Out Now", "Faust'O" e "Lovestory".
Tra questi primi 6 lavori, 4 dischi sono a mio avviso davvero "seminali" per un nuovo modo di scrivere "canzoni"
in italiano. In questa mia quadrilogia "ideale" del primo Faust'O la melodia artificiale, che esiste sempre
innegabile e sottoforma di una forte impronta elettronica con sonorità che sono pure molto "sentite" diventa altro
dopo un primo ascolto. Una melodia artificiale ma naturale al tempo stesso.
La cosa si rivela maggiormente tale anche, sopratutto approfondendo meglio l'uso che in quei dischi viene fatto
delle macchine musicali (sintetizzatori analogici e rhytm machines) che cominciavano a diventare più economici
e rappresentare strumenti frequentemente utilizzati in tutta Europa durante quel fertile periodo musicale.
Oggi molti di quei suoni li diremmo facilmente "datati" e molto anni '80 appunto, ma se li rapportiamo agli anni in
cui i brani sono stati creati (senza farci scudo o alibi del nostro orecchio allenato o ormai assuefatto al digitale
multi-timbrico e polifonico dell'ultimo dei software musicali che girano sui computer odierni, con sintesi sonora di
centinaia di oscillatori virtuali, cui siamo abituati oggi), scopriamo quanto nella loro apparente banalità e
semplicità, queste canzoni fossero avanti anni luce rispetto tutta la musica italiana di allora.
In particolare, mi riferisco sopratutto alle poche macchine (synth, drum machine ecc.) allora utilizzate da Fausto,
(che ad esempio usa un semplicissimo korg, un polimoog e un crumar, in "Poco Zucchero"). Infatti scopriamo
che pur essendo strumenti dalla tecnologia analogica e dall'elettronica sonora di poche prestazioni, venivano
sapientemente usati da Fausto, in un modo "istintivo" proprio di chi sia in grado di avvicinarsi alla macchina
sonora senza nessun timore reverenziale, ma anzi con uno spirito di "manipolazione" innato.
I quattro album del suo primo periodo che usano questo aspetto sonoro con consapevolezza artistica piena
rappresentano la quadrilogia ideale del Faust'O di quegli anni, artista che possiamo considerare popolare e
d'avanguardia al tempo stesso. I dischi che vi invito a riprendere in mano in quest'ottica di ascolto (uso non
tradizionale delle macchine elettroniche e dei testi poetici nella forma-canzone) sono quindi nell'ordine:
"Suicidio", "Poco Zucchero", "J'accuse... Amore mio" e "Faust'O".
Vorrei anche far notare come allora Fausto fosse l'unico in Italia ad usare questo tipo di approccio nei confronti
dei sinth che vedevamo entrare, usati in forma superficiale ma con una grossa diffusione anche nei lavori di altri
artisti degli '80 spesso molto più conosciuti di Fausto. E' noto come allora infatti i migliori sintetizzatori si
"dovevano" usare perché imposti agli artisti quasi "per contratto" dai quei pochi studi professionali e dalle
etichette che se li potevano permettere in quel periodo e che volessero dimostrare di saper essere
all'avanguardia.
Però ai tanti artisti e musicisti rock italiani degli '80 che usavano spesso i sinth come il cacio sui maccheroni
nelle loro produzioni, lo spirito di manipolazione e approccio non reverenziale era precluso totalmente.
Questi poveretti si trovavano quindi alle prese con apparecchiature per loro non solo "sconosciute" ma spesso
completamente "aliene", le utilizzavano solo perché di moda all'estero e quando andava bene si limitavano a
usarle in modo non solo canonico ma direi insulso. Magari giusto due giri di drum machine con suoni standard
veloci e di preset. Tutto faceva brodo e oltre alla la peggiore pop-wave di cassetta che scimmiottava la disco del
periodo, un poco di elettronica faceva molta tendenza anche in un brano considerato tradizionalmente rock.
Fausto era diverso e oltre tutto questo. Non è casuale che tutti questi suoi lavori di allora abbiano sonorità
comuni alle cose più belle di molta della musica straniera che abbiamo amato.
Cose che vanno dalle ballate oscure dei primi Velvet e del successivo Lou Reed più sperimentale fino al primo
John Foxx. Con mondi che si aprono verso altre sonorità di contaminazione (ad esempio quelle ritmiche
ambient tipiche degli Sparks piuttosto che altre cose molto meno conosciute come quelle dei Metro. Sarebbero
quelli di una hit di allora, "Criminal World," ve li ricordate?.
In quel suo modo Fausto lavora per portarci verso il periodo berlinese del miglior David Bowie, miscelato ad una
ricerca della "semplicità ambientale" di una scarnificazione sonora verso l'essenziale, che a tratti ricorda un
ispirato Brian Eno, per il quale è "...sempre meglio togliere dei suoni piuttosto che aggiungerli per ottenere un
buon pezzo". E non bisogna dimenticare come tutto questo avvenisse allora in Italia. Terra fino a non molti anni
prima praticamente "immobile" e distesa sulle melodie solari della canzone popolare mediterranea. E avvenisse
anche in spazi e luoghi musicali quasi mainstream (per il nostro mercato) che erano ben lontani in termini di
"ricerca musicale e sonora" dal mondo e dal mercato anglosassone. Vista in questi ambiti la ricerca musicale di
un artista come fausto che cercava di anticipare i gusti del futuro e contribuiva anche a far crescere lo stesso
suo pubblico era ben diversa dal sentire degli altri artisti italiani del periodo.
La maggioranza di questi artisti era volta al presente più cantautoriale e melodico e quando si volgeva al
passato il gusto del loro pubblico italiano cercava rimembranza nostalgica nel suo miglior periodo Beat o nella
breve ma intensa esperienza del Progressive.
Credo che sia anche per questa sincera e estrema ricerca che chi ha scoperto allora Fausto non riesca a
dimenticarlo. Lui aveva (e ha nel suo fare artistico) quel senso di gravità e anticipazione del futuro incombente,
mai dichiarato pienamente ma sempre sotteso ovunque, nei suoni e nelle sue canzoni.
E' per questo che tutti i primi dischi di Faust'O attraverseranno gli anni ottanta uscendone quasi indenni. E anche
oggi dopo 20 anni come allora che le sentivamo da ventenni, alcune sue cose le risentiamo da ultraquarantenni,
e ci stupiamo di come riescano ancora ad attraversarci ogni volta tutti noi da parte a parte.
E ci si stupisce pure di come, molto più spesso di quanto non si immagini, riescano ad attraversare dritte come
fusi, da parte a parte, anche alcuni adolescenti di oggi che fortuitamente o quasi per caso le ascoltano.
Ecco cosa intendo quando dico che in Faust'O esisteva ed è sempre esistita una manipolazione istintiva e
innata della sonorità "artificiale" che si trasforma rapidamente in un impasto caldo e naturale quando ognuno dei
brani si sposa con i suoni del rock più popolare (come le chitarre di Alberto Radius in "Poco Zucchero"), o con
l'uso deviato e deviante di strumenti a fiato (come lo splendido sax di Claudio Pascoli sempre in "Poco
Zucchero" o quello di Amedeo Bianchi in "J'accuse... Amore mio"). Ma il picco in molti brani viene raggiunto dalla
sua voce. La voce di Fausto è inconfondibile. In alcuni tratti si mantiene bassa e profonda, in altri urlata e in altri
ancora quasi dialogante. E lui conscio di questa voce gioca in un modo perfetto con l'amalgama di testi e il
cantato in italiano, con termini inusuali e ricercati e con l'uso frequente di innesti in inglese o multilingua, frutto di
un lavoro di citazioni incrociate davvero difficile da rendere in modo così naturale.

I TESTI DELLE CANZONI
Un capitolo davvero a parte e ben più lungo meriterebbe l'analisi dei singoli testi di Fausto Rossi, testi che a mio
avviso hanno sempre avuto una profondità poetica davvero rara. Testi che sono spesso non soltanto
"stilisticamente" perfetti dal punto di vista del ritmo e della musicalità per la forma canzone cui comunque
appartengono, ma che si rivelano ad un ascolto attento anche testi di profondo spessore culturale.
Le canzoni di Fausto sono fatte di parole che "suonano" bene ma che vibrano del sentire e dell'immaginario di
un ventenne che alla fine degli anni settanta viene attraversato dal mondo.
I testi di alcuni suoi lavori, implicano per l'ascoltatore un lavoro difficile. Perchè presuppongono anche un
bagaglio che sia non solo musicale ma culturale e di comunanza intellettuale con l'autore. Un bagaglio non facile
da portare per un comune ascoltatore dato che comprende un coacervo di citazioni letterarie, cinematografiche,
musicali. Quelli di Fausto sono dunque testi che, anche quando si mantengono su una struttura musicale
consona di bella "canzone", orecchiabile nella sua forma migliore e "beatlesiana" cui ci si riferiva in precedenza
(in alcune "song" questo è di una semplicità disarmante), permettono e richiedono allo stesso tempo livelli di
lettura e di ascolto multipli e davvero strutturati e difficili.
Nessuna canzone di Fausto merita quindi un solo superficiale ascolto. E probabilmente nessun ascoltatore di
Faust'O che abbia ascoltato davvero i testi delle canzoni di Fausto Rossi, lo ha mai fatto.
Perché quelli di Fausto Rossi/Faust'O sono testi scritti per dare respiro e linfa alle canzoni (o forse si tratta di
canzoni scritte anche per dar respiro ai testi) che si rivelano davvero inusuali sia nel panorama italiano di allora
che forse, a maggior ragione, anche e sopratutto in quello odierno. Alcuni dei suoi testi più vecchi, cito ad
esempio solo quelli di "J'Accuse ... Amore Mio" che è forse insieme al successivo "Faust'O" uno dei suoi migliori
lavori del primo periodo, se riletti a freddo e dopo 20 anni sono infatti ancora oggi di una attualità sconvolgente.
Ecco perché, riguardando i suoi primi lavori dopo tanto tempo che infine e sopra tutto, in questa quadrilogia
ideale, penso siano la voce e i testi di Fausto, intrecciati in misura quasi perfetta con sonorità molto avanti per i
suoi tempi, a riuscire a ricreare intorno all'ascoltatore un intero mondo.
E qui mi riallaccio a quanto affermato in precedenza. Quelli di Fausto Rossi sono testi davvero molto particolari
per delle semplici canzoni. Sono davvero poetici, con tematiche difficili, dal profondo contenuto, invitano ad una
riflessione anche esistenziale sul mondo, ma mentre lo fanno hanno un loro respiro melodico e "orecchiabile"
molto particolare, sono lenti e con suoni ambientali anche quando, al tempo stesso, si mantengono
profondamente ritmici e incedono incalzanti verso il cuore e la mente di chi li ascolta.
Cosa davvero inusuale e sconosciuta per tutta la musica italiana di quegli anni e sicuramente per molta di quella
che negli anni successivi a quelli dovrà venire. Un'influenza quella di Fausto che forse, la gran parte di noi
quarantenni che in un modo o nell'altro oggi ci occupiamo di musica in Italia, sentiamo ancora oggi
profondamente nostra. Una radice sonora dal respiro italiano e mitteleuropeo al tempo stesso.
Testi colmi di malinconia, ironia e spessore che estratti e avulsi dal contesto sonoro che li contraddistingue sono
anche esercizi di stile poetico di una nuova scrittura "citazionista" e forse anche, consciamente ma non ci
giurerei troppo, "surreale, lisergica e situazionista".
Musicalmente poi tutta la sequenza dei lavori del primo periodo di Fausto in questi album appena citati, oltre alla
parentesi più sperimentale, altrettanto importante, di "Out Now" e dell'ultimo "Lovestory" del 1985, che in un
certo modo, tenta di ripercorrere, con minore forza, il solco tracciato da Out Now stesso si conclude con un
lavoro bellissimo e a mio avviso in un certo modo "insuperato e definitivo" degli anni ottanta di Faust'O, ovvero
proprio il suo disco omonimo del 1982 che musicalmente unisce l'esperienza acquisita con i sistemi e le sonorità
proprie della new-wave inglese, con tutte le nuove tendenze della contemporanea wave (oserei dire anche nowave)
americana insieme all'influenza nascosta, ma non troppo, di certa sperimentazione elettronica di matrice
tedesca.

"OUT NOW" E IL RIFIUTO
Dopo aver prodotto la sua prima quadrilogia ideale, praticamente quasi nello stesso periodo ovvero tra il 1981 e
l'82 Fausto produce un lavoro improvviso. Che considerare alternativo, controcorrente e indipendente è dire
poco.
Esce in quell'anno, su etichetta "FG" (creata per l'occasione) un monolite nero che si chiama "Out-Now".
E' questo sicuramente un brusco e innovativo inserimento, di elementi nuovi, ancor più sperimentali e alieni, nel
suo percorso artistico del periodo che sembrava uai tracciato nel solco di un'avanguardia elettronica ma
comunque con un certo riguardo per l'ascolto.
Out Now è un frutto amaro per molti dei suoi ascoltatori. Ed è frutto indubbio di un personale momento di ricerca,
di Fausto, che comprendeva anche un forte "rifiuto" del suono di questi primi 4 album. Rifiuto che lo porterà su
altri lidi rispetto tutti i primi lavori.
Out Now è quindi un lavoro essenzialmente strumentale che viene realizzato utilizzando tecniche derivanti dalla
Musique Concrète, la musica concreta di Schaeffer e Henry. Lavoro difficile, di ricerca e certo di non facile
ascolto, ma è un lavoro profondo e sincero.
Sottende anche un modo nuovo di far musica per Fausto che cerca di indirizzarsi verso le possibili forme di
ricerca di un nuova pop-music per "ambienti urbani italiani" come forse direbbe Brian Eno, al cui utilizzo di
registrazioni e "tapes" probabilmente gran parte del lavoro in qualche modo si ispira.
Out Now è anche un lavoro di presumibile totale rottura con il "clichè" di immagine, anche in parte commerciale,
che gli ambienti discografici della CGD cercavano allora di imporre all'artista. Immagine imposta che si
scontrava con la sincerità di Fausto, che ha sempre visto di cattivo occhio, (allora e anche oggi) l'abuso o
l'esposizione mediatiche proprie di un cattivo uso degli artisti da parte dell'establishment discografico e della
comunicazione.
Out Now è quindi sicuramente un "frutto amaro e oscuro" di Faust'O, forse uno dei più oscuri insieme al
bellissimo e successivo "Exit" di cui parlerò più avanti. Out Now è però quello che inquadra meglio degli altri
lavori più "fruibili" la linea di ricerca artistica personale e più intima della prima fase della sua carriera.
Un frutto amaro e oscuro perché rappresentante, sopratutto allora nel 1982, lavoro totalmente "divergente" da
una linea auspicata da molti e sicuramente anche dalla sua etichetta di allora la CGD - Ricordi, con una Caterina
Caselli allora (e credo anche oggi) vera deus "ex-machina" di molte produzioni del business musicale che
contava commercialmente allora in Italia. Onestamente non credo che Out Now sia piaciuto allora alla Caselli, e
non a caso è un disco prodotto da Fausto in modo totalmente indipendente e in pochissime copie.
Al riguardo sono rimaste memorabili alcune sue apparizioni di allora sugli schermi televisivi. Una in particolare le
rappresenta tutte.
Il Faust'O, all'apice del suo "quasi successo" di allora che, durante le riprese in diretta, di una notissima
manifestazione canora nazionale, forse per protestare nei confronti del playback imperante nel circo festivaliero
discgrafico di allora, si siede sul bordo del palco a morsicare una mela mentre il cantato della canzone va per
conto suo.
Dopo quell'episodio, penso sia stato difficile per qualsiasi casa discografica o per qualsiasi mezzo di
comunicazione, pensare a Fausto Rossi come ad un personaggio in qualche modo "manipolabile" o gestibile ai
fini mediatici. La sua scomparsa dagli schermi televisivi, e dai media, a differenza di molti altri artisti e cantanti
italiani suoi contemporanei (alcuni sicuramente di ben più basso spessore artistico rispetto Fausto), durante tutti
gli anni che seguiranno, ne è la prova.

L'INFLUENZA DI FAUST'O NELLA MUSICA ITALIANA
Visto a distanza di molti anni, oggi Out Now, a mio modesto avviso, è però uno dei migliori lavori di Fausto.
Esempi di splendida sperimentazione e ricerca sonora dei nostri primi anni ottanta e insieme di rifiuto da parte
sua dell'asfittico e provinciale "star system" musicale italiano.
Out Now è un autodafè. E fausto creandolo compie allora quel rito sacrificale impossibile per chiunque dsi
dichiarasse allora un cantante o artista di musica pop e volesse per questo tentare di vivere, in Italia, del proprio
lavoro. Out Now è un suicidio rituale. Quasi come un calcio dato nelle palle del proprio editore e alle sue
possibilità o 'ipotesi di un facile successo, anche commerciale. Un calcio dato con l'idea di non sacrificare una
coerenza artistica e una volontà di ricerca musicale che erano ben altro rispetto quello che la sua casa
discografica di allora avrebbe probabilmente voluto.
Un calcio ad un futuro quasi sicuro, dato da Fausto nel suo momento di massima notorietà.
Perché andrebbe ricordato come Faust'O era allora uno dei musicisti e artisti italiani che seguendo alla lettera,
logiche di comunicazione e dettami della sua etichetta (non dimentichiamoci che la Ricordi era allora come oggi
una delle più importanti case discografiche in Italia,) avrebbe potuto raggiungere tranquillamente ben altre
soddisfazioni economiche, successo di pubblico, vendite e meritata fama, quanto e forse oltre molti nomi noti di
allora che ancora oggi incassano diritti.
Questo è quello che penso della scelta di coerenza artistica e personale compiuta allora da Fausto e ripetuta
sempre, ostinatamente, in tutti questi suoi 30 anni di vita artistica.
Come credo lo pensino molti tra quelli che allora acquistarono, praticamente a scatola chiusa, quel monolite in
vinile di Fausto dalla copertina nera ed essenziale e riuscirono a non stupirsi più di tanto che fosse uscito un
disco di Faust'O quasi senza nessuna canzone ad eccezione di quel capolavoro di brano che è "The sound of
my walls" ispirato ad una poesia di Dylan Thomas. E credo anche che la maggior parte di questi ascoltatori di
allora sia stato quasi "fulminato" sulla via di damasco di una sperimentazione musicale aliena e oltre il proprio
tempo. Credo che Out Now abbia contribuito, forse più di qualsiasi altro lavoro musicale in questa nazione, a far
nascere una nuova generazione di musicisti più attenti alla sperimentazione e alla ricerca sonora. Chiedete in
giro a qualche musicista elettronico italiano di vostra conoscenza e che abbia una certa età. Perché sono quasi
certo che le poche copie di Out Now distribuite allora, siano finite sopratutto in mani di questo tipo.
Un nome quello di Fausto che dunque rimarrà e rimane ancora oggi, nonostante le sue assenze e i lunghi e
quasi totali silenzi che intervalleranno di tantissimi anni tra loro i suoi ultimi lavori. Tra il suo ultimo disco del
primo periodo, "Lovestory" del 1985 e il successivo "Cambiano le cose" trascorreranno ben 7 anni di totale
silenzio e tra "Exit", bellissimo e struggente lavoro del 1997 e quest'ultimo disco del suo atteso ritorno di anni ne
son volati via esattamente 12.
Un nome che rimane quello di Fausto, dato che viene ancora oggi spesso citato tra le influenze musicali "di
formazione" di tanti che han fatto o fanno musica in Italia, anche e sopratutto nelle sonorità più recenti d'ambito
elettronico e sperimentale, molto successive agli anni '80, comprese quelle di matrice "industrial" e rumorista
della fine dei anni '90.
Un nome in grado di produrre un disco come questo "Out Now" che, per inciso, piace anche tantissimo ai
musicisti elettronici, benché utilizzasse allora ben poca elettronica rispetto i lavori precedenti (anche se Faust'O
proprio in Out Now, forse per la prima volta, fece un ampio e distorto uso di basi su nastri processati insieme a
macchine effetti e ritmiche.
Un disco di venticinque anni fa che con il tempo,come per molti altri lavori di Fausto, risulterà quindi essere un
vero e proprio oggetto di culto, per molti musicisti italiani d'avanguardia di qualsiasi età. Chiedere a qualcuno,
magari a me sconosciuto se, parlando dei suoi gusti musicali, conosca e apprezzi Out Now è diventato ormai
quasi una cartina tornasole del suo sentire. Fidatevi.

CHIUSURA DI UN CICLO - UN DISCO SENZA NESSUN TITOLO

Ecco che, quasi a voler consacrare una cesura definitiva con il passato, a ben poca distanza dalla rottura
consapevole di Out Now, nel 1983 dalle ceneri del rogo spuntare una piccola fenice.
Fausto produce infatti il suo ultimo lavoro con la "Ricordi". E ancora una volta stupisce tutti. Il suo disco senza
titolo, riporta solo il suo nome d'arte in copertina. Ed è quasi un atto a dimostrazione, dopo le molte critiche
ricevute per Out Now, che lui è in grado di essere ancora qui e poter comporre la migliore forma della canzone
italiana insieme alla sperimentazione e all'avanguardia sonora più estrema.
Faust'O è anche, ritengo, il suo album di canzoni definitivo.
Ogni song rappresenta un piccolo gioiello di essenza e forza, sia musicalmente che dal punto di vista testuale.
Fausto con questo lavoro si dimostra un'artista ormai davvero maturo, in grado di percorrere la sua strada con
forza e sincerità. A detta di tanti oltre me, questo è il disco migliore di sempre del Faust'O che diventerà (o
ritornerà ad essere) Fausto Rossi "autore" di canzoni di rara bellezza. Il disco contiene dieci brani, registrati tra il
1981 e l'82 che hanno tutti una forza musicale ed evocativa davvero impressionante. Ancora con Alberto Radius
che collabora attivamente con Fausto.
Da "Ogni Fuoco" a "Ultimi Fuochi", passando per "E poi non voltarti mai", "Stracci alle fiamme", "Cinque Strade",
"Ch'An Cha Cha" (edita anche su un introvabile singolo) fino alla bellissima e struggente "Alien" Questo
rappresentato da "Alien" è un brano di cui rimane mitica, per i pochi che ebbero la fortuna di assistervi, una sua
versione live con Fausto solo al pianoforte, (al Piper di Roma nel maggio 1983) con la quale si concluse il suo
ultimo concerto di quel periodo e per molti anni a venire
Senza certo dimenticare in questo disco "Jeraldine" o "Rip Van Winkle" (a proposito di citazioni letterarie)
In Faust'O, i testi assumono la forma di "lettere" e così ce li presenta l'autore all'ascolto del cuore e in modo
semplice, lui dice infatti: "Quando ho iniziato la stesura di queste lettere ho capito che lo sforzo maggiore
avrei dovuto attuarlo nel cercare di colmare - almeno in parte - quella distanza che solitamente esiste
tra chi scrive e quello che viene scritto.
Le emozioni non gradiscono gli schemi fissi. I sentimenti reali rimangono, anche se celati dietro la
finzione della correttezza ufficiale. Ecco, lo sforzo è stato il lasciare che l'interno fluisse - per quanto
possibile - senza censure; il lasciare che, parola dopo parola, le immagini prendessero una propria
forma senza chiedersi perché o da dove venissero. Ho sentito il bisogno di "usare questo metodo" per
non ritrovarmi indifeso davanti alla mia stessa penna. Per poter riconoscere il mio cuore piuttosto che
la mia mente. Non esistono chiavi di lettura o porte di servizio; quel che è scritto è scritto, e niente può
cambiarlo nella sua vera origine."
Si chiude qui, oltre che la sua collaborazione e sodalizio con l'etichetta, quella ipotetica quadrilogia "ideale"
propria del primo periodo artistico di Fausto.
Per fare luce sul lavoro di Fausto in quegli anni "convulsi" è anche bene precisare che la Target, sua futura
etichetta con la quale lui lavorerà incidendo il successivo disco "Lovestory", darà alle stampe arbitrariamente e
senza il consenso dell'autore, solo molti anni dopo nel 1996, un disco contenente diversi outtakes e alcune
registrazioni del 1982 che riguardavano proprio il lavoro in itinere di Faust'O, contenente versioni incomplete e in
inglese di molti dei suoi brani. Il titolo di questo disco "non riconosciuto" che appartiene comunque a quel
periodo è "Lost and Found".
Per Fausto, questo "Lost and Found" è una merda..! (come viene precisato da lui stesso precisato) perchè è un
album non soltanto incompleto, ma registrato in modo pessimo durante delle sessioni di prova nel 1982 e
successivamente stampato a sua insaputa e ben 14 anni.
Fausto ci racconta come avrebbe voluto in quell'anno tentato di riscriverne i testi (quelli della registrazione sono
stati assemblati con un inglese casuale, tanto per avere "qualcosa" da cantare) prima della registrazione per la
presunta pubblicazione di allora. L'unica track, completa anche nel testo, è "Ogni Fuoco".
Ed è quella che poi venne successivamente riutilizzato e inclusa, insieme a "Jeraldine", "E poi non voltarti mai" e
"Alien" (con testi però riscritti in italiano), nell'album "Faust'O", edito dalla Ricordi nel 1983.
Fausto rossi, in questi primi anni '80, per la musica italiana ha rappresentato quindi una specie di micro
laboratorio sperimentale e in vitro di musica elettronica e pop-rock ma anche di canzone d'autore melodica,
popolare e molto colta al tempo stesso. Non è nemmeno un caso che i suoi lavori abbiano visto ad esempio gli
arrangiamenti e la collaborazione di un altro musicista importante di quel periodo in Italia, come Alberto Radius
insieme a molti altri. Il sentire di Faust'O negli '80 è stato a mio avviso un sentire profondo. Che ha attraversato
trasversalmente il suo tempo. E Fausto Rossi, è oggi ancora citato come uno fra i pochi artisti italiani del periodo
che ha influenzato sicuramente molti tra i musicisti italiani di quella generazione.
E forse non è nemmeno un caso se anche tra i molti musicisti più giovani, appartenenti alle nuove e recenti
generazioni, che gli si è avvicinato o abbia ascoltato i suoi lavori a distanza di tempo dalla loro prima uscita, vi
sia oggi una riscoperta dell'artista Fausto Rossi, che confermi con un'aura quasi di culto che circonda ancora
alcuni suoi lavori (alcuni introvabili e mai ristampati su Cd, proprio come nel caso di Faust'O del 1983) questa
influenza radicale e quasi "seminale".

LOVESTORY E IL PERIODO TARGET
Due anni dopo, Fausto lavora con la Target, per incidere un disco che riprende in parte una di quelle strade
sperimentali iniziate con Out Now. Sicuramente siamo tutti consapevoli quanto questo "Lovestory" sia un lavoro
minore e di minor efficacia. Frutto di un momento transitivo nella vita della persona e dell'artista.
Ma, scavando a fondo, anche qui in un lavoro sottotono rispetto altri, Faust'O si permette di introdurre un 'sound'
che ha ancora una sua essenza centrale primordiale, mentre lateralmente osserva il futuro.
Solo 6 tracce. Lovestory è un disco "austero" e per niente "romantico". Ma Faust'O, lo presenta con un tono
quasi disinvolto, fin dal titolo facendovi capolino sulla copertina in maniche di camicia e cravatta. Si ispira ad un
triplo disco inglese del 1979, lavoro dal difficile ascolto ma di grande successo tra la critica musicale del
periodo, intitolato "Metal Box" dei P.I.L. (il progetto musicale dell'ex Sex pistols John Lydon).
Da questo disco, che è emblema di molto "post-punk", Fausto preleva anche alcuni frammenti sonori di cui si
serve per "semplificare" la restante parte del suo lavoro. Lovestory rappresenta comunque un disco molto
scarno, a tratti quasi monocorde. Anche perchè prosegue nella sua opera di "sottrazione" di cui abbiamo parlato
in precedenza. Batteria, basso e voce "recitano" all'unisono ripetendo brevi frasi ritmiche e melodiche. E nella
struttura compatta e impermeabile del tutto gli sono permesse solo alcune minime variazioni....
Un lavoro comunque seppure di basso profilo che mantiene un discreto livello artistico e che contiene strutture
musicali "primitive" ma al tempo stesso largamente "moderne". Strutture che sentono in qualche modo
movimenti propri del sentire musicale di quegli anni '90 nel quale agisce.
A me personalmente ricorda molto le sonorità dei Joy Division e ritrovo nella voce di Fausto la profondità
dolente e potente di quella di Jan Curtis. Ma questa è solo una mia opinione molto personale...

CAMBIANO LE COSE - UN NUOVO INIZIO DOPO
Degli anni immediatamente dopo Lovestory possiamo dire ben poco. Le tracce "pubbliche" di Faust'O si perdono
per circa 7 lunghi anni, durante i quali lui sposta i propri interessi sulla ricerca di altre espressioni musicali,che
non trovano sbocchi su disco fatta eccezione per alcune sporadiche collaborazioni.
Gli interessi di Fausto Rossi, liberatosi ora quasi del tutto dal fardello del suo primo periodo con il nome d'arte
Faust'O, spaziano liberamente verso luoghi e percorsi intimi e solitari. Credo che, anche a suo dire, Fausto in
questo periodo abbia vissuto una profonda crisi personale, introspettiva e intima. E artisticamente abbia
approfondito però molto di quello che lo interessava degli anni '90.
La musica colta 'contemporanea' e l'etnomusicologia sopratutto. Attraverso sue personali e intime strade arriva
in questo periodo a cercare, nel massimo dettaglio l'approccio con le macchine musicali e in particolare, con il
suo modo di fare certosino e curioso, anche la 'computer-music' più radicale e di ricerca. Fausto acquisisce
quindi, autonomamente in tutto questo tempo, se possibile un livello personale e massima di piena conoscenza
e consapevolezza del proprio materiale sonoro e intelletuale che userà più avanti nelle proprie possibilità
espressive.
E' quindi questo il periodo fatto di suoi suoni di certo più "riflessivi, intimi e privati". Sicuramente un periodo di
ricerca di nuove forme di espressione. E anche, rubando magari il termine ai Virgin Prunes, di consapevolezza
per una "new form of beauty" ci direbbe forse Fausto.
Dopo questo periodo, le cose cambiano. Fausto decide finalmente, dopo 7 anni di silenzio e ricerca, di incidere
un nuovo album e lo fa sempre per la Target del precedente e lontano "Lovestory". Nel 1992, nasce infatti un
lavoro dal titolo evocativo e programmatico appunto di "Cambiano le Cose".
E le cose cambiano davvero su questo lavoro. Perchè questo è un disco molto particolare. Non soltanto perchè
Faust'O e qualsiasi cosa di lui quasi scompare. è il primo a nome Fausto Rossi. E' un lavoro particolare perchè
Fausto si presenta e si rappresenta nel suo intimo, così, anche a partire dalla copertina. Si ricorda questo suo
"Cambiano le cose" anche per quella bella foto che immortala la sua scrivania. Una scrivania sommersa di fogli,
oggetti e cose che gli appartengono. Ci rappresenta il suo immaginario più intimo in un mondo " a parte", quasi
un "Idaho privato", il suo, che è forse rimasto chiuso in una stanza per lungo tempo ma è sempre pronto ad
aprirsi e rappresentare molti altri mondi possibili.
Mondi che diventano facilmente anche i nostri. E sono certo che molti tra i suoi tanti estimatori, abbiano
impiegato volentieri parecchio tempo andando alla ricerca e alla decifrazione dei tanti segnali che quella
scrivania e quegli oggetti avrebbero lanciato loro.
Perchè sono segnali e segni, di un significante, quello della "poetica" di Fausto che rimandano, solo per fare un
esempio a discipline e filosofie orientali. Così come del resto lo fanno anche i suoni di Cambiano le cose. Un
rimando consueto per Fausto, il suo dare molteplici livelli e sempre multiple chiavi di lettura.
E questo disco ha suoni dalla forte impronta etnica, antica ma modernissima al tempo stesso trattandosi di suoni
digitali e trattati, con campionamenti o sintesi. E sintesi o computer music ne abbiamo davvero tanta. Una lista di
sigle, come consueto sui dischi di elettronica degli anni '90, informa l'ascoltatore attento
(che molto spesso in questi ambiti è anche necessariamente un "tecnico" ) della strumentazione di macchine e
software utilizzata per produrre quei suoni. E Fausto reitera la cosa, lasciando in bella vista sulla sua scrivania in
quella foto che dicevo prima, un manuale tecnico di una delle prime versioni del software musicale "Max " (con
cui le note di copertina interne ci informano esser stata generata l'intera partitura di quel brano davvero
innovativo che è "Otroupuldo".

LA QUINTA STRADA
Ma tornando all'uso di sonorità etniche, deviate dall'elettronica, volevo dire che non è certo una strada nuova per
Fausto. Anzi, probabile che questa sia solo una delle "cinque strade" (o dovrei forse dire cinque vie?) in grado di
portarci al suo "Oriente". Un Oriente il cui immaginario è sempre stato presente, anche nei primi lavori, ma che
via via emergerà con maggior potenza e ritroveremo più avanti.
E su questo disco, in quella foto, ci sono molti altri segni e segnali che rimandano alla sua vita, alle sue vite,
trascorse. Perchè rivediamo su quella scrivania, anche la copertina del suo disco "J'accuse... Amore mio",
messo lì, in piedi sotto la lampada, quasi ad accennare un legame tra i due lavori. Forse fatto da Fausto per
potersi augurare e augurarsi tutti un nuovo inizio. Un "Buon Anno", perchè come lui sembra voglia dirci
guardandoci da dietro il vetro, in un'altra bella foto della copertina, c'è sempre... gente che aspetta ai vetri e i
giorni non passano mai"... Perchè, aggiungiamo noi, anche 10 anni dopo, le guerre sono ..sempre su un'altra
radio... Ma su quella copertina appare anche altro.
Appare un disco dei Beatles. Quel "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band" che dubito qualcuno non conosca.
Ecco che ritornano i Beatles della sua "formazione"... Con una citazione esplicita. Sono anche i Beatles più
radicali e concettuali (se si eccettua White Album) che ci sia dato di immaginare (del resto "Sgt .Pepper," fu
probabilmente uno dei primi se non il primo album "concept" della storia del rock). Un disco elettronico che
affonda comunque le sue radici nella "forma canzone". E tutto torna, nella poetica di Fausto. Perchè niente alla
fine è lasciato al caso seppure tutto avviene come per caso.
In molti pensano che "Cambiano le cose" sia un disco freddo e in parte "algido" perchè non completamente
riuscito e distante dal sentire degli ascoltatori di Fausto, come le radici di computer e midi music a cui
appartiene, ma secondo me è esattamente il contrario. Un lavoro di fuoco sotto un'apparente scorza di ghiaccio.
Ci sono tutte quelle "macchine celibi della modernità" che abbiamo detto prima, ma in sopra tutte il timbro
inconfondibile delle sonorità e vocalità più amate dal Fausto Rossi degli anni '80, seppure traslate sulle
"macchine morbide" dei primi anni '90.
Anche in questo disco Fausto, ci travolge con un lavoro di ricerca su diversi livelli di ascolto.
Cambiano le cose, contiene infatti una trama di strutture musicali matematiche e suoni creati al computer, con
un Fausto che rimane l'autore profondo che conoscevamo e al tempo stesso diventa un nuovo "ingegnere
sonoro". Un non-musicista (e Brian Eno ritorna anche qui) che non si "limita soltanto a definire i confini dei
parametri musicali ma crea un lavoro molto complesso, di ambientazioni oniriche e trame sonore reticolari che
non sono nemmeno avvertibili al primo ascolto.
Loop e strutture sonore che si ripetono in sequenza, continuamente ogni volta ri-osservate e rimanipolate da un
diverso punto di vista... Suoni che danno origine a nuove "canzoni" e nuove forme melodiche.
Un disco diversissimo ma immediatamente comunque ascrivibile al marchio di fabbrica di Fausto Rossi. Un
disco di musica elettronica basato sull'uso di molte macchine (come e software, spinti alle estreme
conseguenze, come Faust'O non aveva mai affrontato. Un disco che per chi come me ha sempre pensato che
una drum machine fosse l'unico modo di non dover essere sempre costretti ad urlare al batterista per fermarlo,
non avrebbe potuto farmi più piacere.
Un disco di musica elettronica ampiamente ambientale, con un cantato dialogico agito e agente, nel senso
migliore del termine. Un disco di cazoni strane, oserei dire quasi a-melodiche. Ad esclusione di una strana sorta
di canzone pop che rappresenta un''eccezione "seduttiva" che potrebbe sembra un elemento apparentemente
estraneo al resto dell'intero lavoro.

THE SOFT MACHINE
L'unica eccezione con il canto e la melodia semplice e di facile ascolto, almeno all'apparenza, dentro Cambiano
le cose" è una bellissima canzone scritta in coppia con Laura Valente; dal titolo assolutamente letterario e
Burroughsiano di "Morbide Macchine". Un evidente rimando al suo romanzo dal titolo "The Soft Machine"
appunto.
William Seward Burroughs per chi non lo conoscesse è stato uno dei padri e numi tutelari della "Beat
Generation" americana e di molte avanguardie letterarie successive. Anche grazie alla sua lunga vita e allo
stile iconoclasta della persona che ha sempre coinciso con il suo personaggio. Lui e la sua produzione artistica
e letteraria in vita e ancora oggi dopo la sua morte (avvenuta nel '97 a 83 anni) l'oggetto di un vero e proprio
"culto" tra molti artisti e musicisti delle generazioni successive.
Credo che la figura del buon vecchio "Uncle Bill" sia stata abbastanza importante nell'immaginario letterario di
Fausto. Come del resto per molti della sua e mia generazione.
E devo dirvi che i testi di Fausto Rossi così come anche quelli di Faust'O sembrano, a guardarli in quest'ottica,
tutti particolarissimi e scritti in una forma quasi istintiva, Una specie di scrittura automatica per immagini e
immaginario. Composti in una sorta di "cut-up" emotivo oltre che testuale.
Rileggetevi in questo senso tutte quelle sue "lettere" (come lui stesso le definiva nello stupendo disco Faust'O di
quasi dieci anni prima) i testi delle canzoni. E fatelo senza nessun supporto sonoro. Sono reading perfetti. Sono
cut-up Burroughsiani perfetti. Del resto, se a noi tutti, pochi e sparuti nipotini italiani del buon vecchio Zio Bill, ci
sono piaciute così tanto in tutti questi scorsi anni le surreali canzoni di Faust'O, che altro potevano essere se
non primordiali e inconsce "lettere dal nostro Yage" scritte a occhi chiusi dal nostro beneamato "Reverendo
Faust'O"?
Ecco perchè il testo di Morbide Macchine, diventa non un banale inno alla nuova macchina "morbida e
pensante", che così scontato e attualizzante sarebbe nel decennio di fine del millennio, ma anzi proprio per il
suo volgere al passato rappresenta lìesatto opposto. Il ciclo e riciclo di una "Beat re-generation" Faustiana,
diventa l'ammissione e la negazione di qualsiasi macchina.
Perché la macchina di Fausto è morbida. Muove con forza il braccio e la mente ma ha l'incedere tribale del
cuore. E il nostro Fausto, seppur usandola appieno questa sua neo-macchina, la distrugge facilmente insieme
a noi. Distruggendola, riprogettandola e ricostruendola. O de-costruendola. E con essa, rimette tutto quanto il
suo e nostro mondo in discussione.

L'ERBA - UNA PROFEZIA
Il rimettere tutto in discussione è cosa a cui Fausto ci ha ormai abituato da tempo. E lui è persona che discute
pesantemente con se stesso da sempre. Ecco che, nel 1994, dopo circa due anni da "Cambiano le cose"
viene pubblicato il suo nuovo lavoro con il titolo "L'Erba" nel quale Fausto, ridiscute tutto e ridisegna i confini del
suo fare artistico. Come un saltatore perennemente in cerca di un nuovo limite, sposta ancora più in alto la sua
asticella.
Questi due anni, va detto anche come siano quelli che più segnano l'uomo. Fausto è vittima e reduce da una
serie di vicissitudini personali che riguardano la persona, e non direttamente l'artista, ma che naturalmente
lasciano un forte segno nell'immaginario artistico. Forse, anche per questo nel nuovo disco Fausto inverte
completamente quella che sembrava una tendenza o una strada di ricerca intrapresa. Lo fa nel modo più
inaspettato, perchè si libera stavolta completamente delle macchine. Ne rimangono, dentro l'Erba solo
pochissime tracce, come echi del passaggio di un temporale lontano, frutto di provini realizzati circa un anno
prima. Per Fausto Rossi è questo un ritorno quasi tribale e alle origini. Nonostante si veda, anche qui come in
"Cambiano le cose" la presenza costante di Franco Cristaldi.
Il ritorno tribale è una scarnificazione dell'essere in negazione di qualsiasi avere, una scarnificazione della sua
produzione che è al tempo stesso per Fausto un rito di passaggio e una via iniziatica. Anche la copertina ci
riporta l'immagine di un Fausto completamente diverso. Lunghi capelli a incorniciare un volto che comincia a
farsi accompagnare dagli anni. L'Erba è un disco di canzoni che rasentano un lirismo "mistico e in parte anche
profetico". Ma consapevole del rischio insito in una fascinazione di questo tipo, Fausto ci presenta le sue
canzoni, a tratti quasi rinnegandole.
E' Un disco di canzoni che ci avverte dell'esistenza di "...troppe canzoni , troppo futuro, troppe illusioni e nuovi
amori digitali... Un disco di canzoni, non dimentichiamolo, tutte melodiche, ma tutte a loro modo con un respiro
interiore mistico e oscuro.
Parla di "erba" e "droghe", l'Erba, e lo fa senza nessuna parvenza di euforia lisergica. Parla di erba come Huxley
parlerebbe forse oggi di acidi in un mondo di febbre a 180 bpm.
Parla di erba ... perchè ogni erba è santa... Parla di erba, Fausto, con la consapevolezza di un ...nomade che
mantiene uno sguardo libero e irriducibile nei confronti del mondo... Parla di droghe e lo fa citando Rainer Maria
Rilke, con il ..sorriso dell'artista che giunga a contemplare in egual modo il movimento del gesto come della
propria opera ...
Parla di erba, l'Erba, ma forse è un disco che parla sopratutto di amore. " ... Amarsi ovunque e non paura...
solitario come un fume lentamente scendo verso il mare.." E Fausto scrive anche qui testi, per canzoni che
sono sempre altro. Testi di una potenza evocativa impressionante. Testi anche duri, introspettivi e biografici.
Testi senza molta o nessuna pietà per se stessi e anche per il resto del mondo. ... Santo il nostro cazzo, isterico
e affamato, santo il desiderio di volare, santa anche la chiesa, in guerra contro Dio ...
Non fa' mai sconti Fausto, a se stesso o agli altri. Perchè non è più in grado di farne. E meno che mai si
concederà o ci concederà, da ora in poi, nessuna parvenz di "politically correct", non è mai stato proprio, come
dire, nelle sue corde nemmeno da giovane. Da maturo, politicamente corretto, credetemi, non lo sarà mai più.
E proprio per questo Fausto è artista sincero, con se stesso e con l'ascoltatore, innanzitutto. E resterà tale.
Artista povero eppure immensamente ricco perché infinitamente libero.
Fausto, con l'Erba, prepara coscientemente la sua personale via di fuga. E nessuno riuscirà a fermarlo. E lo fa
sapendo che pagherà per questo, perché ha deciso di vagare per noi, senza soldi e senza onore, libero nei
sogni del mattino. ...Perchè il mio amore affonda in questa vita, nudo mistico affamato. Perchè ho un destino
oscuro e non paura avendo aperto il cuore al mio infinito.

EXIT - IL PASTO NUDO
All'inizio dell'estate 1995 Fausto, dopo l'Erba, si trasferisce in collina in una casa isolata, fuggendo la città in una
fuga dalla civiltà che lo porta alla ricerca di se stesso. Nell'intimità e nel massimo silenzio. E nella primavera del
'96 comincia a lavorare al nuovo disco. Con l'unico strumento elettronico superstite che ha forse deciso di
concedersi. Un semplice quattro-piste...
Fausto Rossi esce del tutto, abbandonando se stesso e noi con Exit. Un disco inaspettato e bellissimo che
mette a nudo, quello che della sua "carne" più intima rimane ancora sul suo sempre più corpo magro e sempre
più affamato, nudo e mistico.
E dopo questo disco lui uscirà davvero anche di scena per un periodo di tempo immane. Exit. E' un pasto
nudo, l'ultimo, che ci viene servito brutalmente e anche crudo. E' la primavera del 1997 quando
esce Exit. Ed è passato tantissimo tempo da allora, sono oltre 12 anni!
(Nota dell'autore: Questo testo è stato scritto nel 2009 per un libro dedicato a Fausto che purtroppo non
ha visto mai la luce)

E non è solo crudo questo Exit. Non è solo un disco elettrico e scarno, questo Exit. E' infatti un disco con un
suono che ci riporta tutti indietro verso una radice blue-grass e quasi agreste.
Stavo per dirvi che Exit è probabilmente un disco "folk" (ma di un folk della nostra west coast italiana. Quella che
purtroppo non abbiamo mai avuto) .
Exit è un altro movimento di Fausto. Un movimento di lato, quasi a "scartare" il precipizio, fatto mentre la
telecamera e tutto un mondo che ti segue in diretta, si aspetta che lui vada di corsa avanti o indietro . Exit è un
disco, un bellissimo disco di commiato. Solo che lo abbiamo capito molto più tardi del 1997 in cui è uscito.
L'abbiamo capito solo quando Fausto è scomparso del tutto sotto i nostri occhi attoniti.
Perchè Exit è stato anche un esperimento di profonda riflessione e poesia "acustica" destinato a parlare
"sottovoce" ad un mondo di ciechi e sordi che, ci direbbe forse Ballard, corre urlante verso il rumore del
prossimo crash... Exit ha un sound orientato verso il rock-blues. Tutte le sue melodie insieme ai testi, davvero
potenti, ci cantano la bellezza di un mondo trasfigurato in tristezza.
Un disco che suona assolutamente "low-fi" in un mondo che richiede soltanto l'alta fedeltà verso il nulla.
Fausto continua e continuerà a stupirci. E a chi fra i suoi fan, dopo la cura a base di "Erba" si aspettava forse un
disco dolce, elaborato e curato, fatto di melodie, tastiere e canzoni, viene invece servito un "pasto elettrico e
nudo" (per restare in tema di immaginario Burroughsiano)
E i testi sono intriganti, indissolubili, distruttivi e corrotti come il sapore del sangue e della ruggine di metallo tra
le labbra.
... difficile fermare il sangue, difficile fermare un attimo il respiro...
...suoni e parole che non servono a niente... ... i sensi perduti davanti ai computer...
... ogni droga è candida, tutti i governi cadranno, vedrai...
... apro gli occhi e vedo solamente mostri, mostri nella radio, mostri sui giornali... mostri nella mente difficile
dimenticare.. ... uomini intellettuali che passano il tempo a frugarsi nelle tasche l'uno con l'altro...
... pieno di droga sotto la pioggia al mattino, piango e mi sento solo...
... abbandonato come un cane malato sulle strade di questo pianeta che non è il mio ...
Ora a distanza di anni sappiamo che Fausto dopo questo lavoro, Fausto Rossi si ritirerà di nuovo per tantissimo
tempo dalla scena pubblica, rendendosi praticamente "invisibile".
Non vi dirò dov'è andato Fausto e che cosa ha fatto nei 12 anni che verranno dopo Exit. Perchè questa non è
una canonica biografia e nemmeno uno spazio di "gossip for fans". E dopotutto credo siano anche cazzi suoi.
Penso che solo gli artisti veri come Fausto siano capaci, nella loro genuina sincerità, in mezzo alle urla di tutti, di
farsi sentire molto di più perché sono anche in grado di proporci assordanti silenzi. E in un mondo come quello
che ci circonda e li circonda, sempre e inutilmente troppo rumoroso sia nella vita che nello spettacolo, anche
questo silenzio estremo diventa un viatico per rigenerarsi.
Senza mai farsi indurre a pensare che il presenzialismo mediatico e l'apparenza dell'apparire siano l'unica
forma di comunicazione possibile con il mondo. Fausto dimostra di non aver bisogno di nessun quarto d'ora di
merdosa celebrità. Perchè Fausto ridiventa, in ogni suo lavoro, quello che è sempre stato per noi.
Un uomo schivo, un poeta anarchico, un musicista che sradica sempre le sue radici per dar linfa alle foglie, un
artista senza padroni. Fausto è stato per me e per noi, in tutti questi anni e con la sua assenza nel suo lungo
inesorabile e per questo inestimabile addio, come un fratello lontano. Che sai che esiste, che sai sensibile,
nascosto e silenzioso. Un fratello lontano di cui conosci, e rispetti appieno, ogni breve rumore e ogni lungo
silenzio.
E nel rumore indistinto di tutti quelli che fratelli non lo sono per niente, il suo silenzio diventa assordante
perchè... L'assenza è spesso più rumorosa della troppa presenza, direbbe John Cage. E credo si sia in tanti a
concordare su questo. Perchè Fausto è stato e rimane, innanzitutto, un artista assolutamente vero.

L'INATTUALITA' DEL PRESENTE - OVVERO: ELOGIO DEL RITORNARE VISIBILI

Fausto è scomparso per quasi 10 anni. Facendo altro, vivendo altro, spesso bisogna dirlo, quasi non vivendo
oppure sopravvivendo alla meglio, sempre e ben oltre il suo personaggio, la sua musica e quello che per noi
rappresentava la sua assenza. Poi, improvvisamente e come di consueto nel suo modo di fare, nel 2005 si
ripresenta al pubblico in due concerti a Roma in provincia di Brescia, due concerti improvvisi che ci propongono
nuove canzoni e reading. Fausto ci farà capire, con il suo fare schivo di songwriter , autore e cantante dal
profondo sentire emotivo, ma sempre lontano da qualsiasi circuito mediatico o di "establishment" artistico
ufficiale ha continuato a lavorare in silenzio, lontano dal riflettori durante tutto questo tempo. Preparando con
molta cura il suo rientro. nel mercato discografico. Nel 2009 esce infatti il suo ultimo lavoro dal titolo "Becoming
Visible". Inciso per una nota label indipendente italiana, la Interbeat di Roma, abbastanza attiva nel circuito
della nostra migliore canzone d'autore.
"Becoming Visible" esce in questi giorni, mentre io scrivo queste righe. Lo aspettavano tutti. Da moltissimo
tempo un nuovo disco di Fausto. Si aspettavano tutti qualcosa di rivoluzionario e controcorrente. E lui, come al
solito, se ne frega di quello che tutti si attendono. Perché ha preso con se, di tutta la sua vita tormentata e
passata, di tutte le sue cose che tanto hanno significato per me e tanti come me, quasi niente. E questo ha
deciso di usare per tornare dall'invisibilità ultradecennale. Ha preso solo la sua voce e una chitarra. E ritorna
piano visibile, come un fuori-fuoco con un obiettivo macro che rientra su un dettaglio e sotto il nostro sguardo.
E ritorna quasi muto per il nostro sentire il nuovo Fausto. Perchè sappiamo che forza abbiano i suoi testi in
italiano che riteniamo stupendi. Testi sempre pervasi di una poesia intensa, raramente sentita in canzoni scritte
nella nostra lingua. E lui, se ne frega e ritorna a cantare per noi. Ma lo fa in inglese. Con un inglese elementare
e fatto i ben poche parole. Il suo ultimo disco, Becoming Visible, è davvero un lavoro intimo, essenziale e
scarno, composto da 8 nuove ballate, con testi inediti, 8 piccole songs d'autore composte e cantate
completamente in inglese. Un disco, distante ma solo apparentemente dal Fausto Rossi di "Exit" un disco
anche dolce e, a tratti, venato di una malinconia blues, con le calde sonorità delle chitarre di Massimo Betti e
Stefano Brandoni, il basso di Franco Cristaldi, e con la voce e il pianoforte di Fausto che lo rendono un piccolo
gioiello. Un disco avendo l'onere di sancire una sua nuova presenza, lungamente attesa dai suoi molti
estimatori, ben dopo 12 anni da "Exit" forse non ripagherà pienamente nessuno di questa sua lunga assenzai.
Mi fermo qui e non parlerò oltre di Becoming Visible. Perchè credo che sia presto. Perché ci vorrà diverso
tempo per capire l'insieme.

Arnaldo Pontis - dicembre 2009

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(testo e foto messi a disposizione da Arnaldo Pontis che ringrazio)

Edited by pallidestragi - 15/6/2010, 11:43
 
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